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THRILLER
ADRENALINICO
AMBIENTALISTA
GUERRE CORPORATIVE
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Svegliarsi al mattino e scoprire di essere l'ago della bilancia del destino mondiale.

 

Malta, ore 8.00. Abbie Cassio si sveglia nel suo appartamento sul mare. Fuori splende il sole. Abbie è giovane, molto attraente, è un’hacker e nel suo mestiere ci sa fare. Sono molte le cose che si aspetta da quella giornata. Soldi, flirt. Ma non certo di rimanere immischiata in un pericoloso intrigo internazionale.

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La travolgente caccia a un vecchio segreto. La posta in palio è alta. È a rischio l’intero Sistema mondiale.

 

 

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AUTORE DI TE STESSO
Il premo bandito dal portale con oltre 100 mila visitatori mensili.

PRIMO CAPITOLO

MAX FULLER

 

 

 

 

 

 

 

Lo aveva visto dalle scarpe, nere, comode e un po’ sformate di chi deve essere pronto a tutto, che quell’uomo non era come gli altri e non si trovava nell’incrocio di strade di Paceville per cercare divertimento caotico, luci colorate, musica, ritmi indiavolati, ragazze dai tacchi a spillo. No, lui non andava per locali, lui braccava qualcuno. Ma era stato nell’incrociare il suo sguardo, nero sotto una fronte bassa, da mastino, che Max Fuller aveva capito che quell’uomo cercava proprio lui.

   Max Fuller aveva trent’anni e non li dimostrava, indossava una maglietta nera, jeans stretti, aveva i capelli corti, da bravo ragazzo. Non fumava. Era rimasto lì a rodersi le unghie, giocherellando col suo badge d’identità e con un cellulare. Aveva respinto con timidi sorrisi e un “no, grazie” tutte le promotrici in abiti succinti che si erano avvicinate al suo tavolo dove sorseggiava da troppo tempo la sua acqua tonica in bottiglia. Non era salito lì, due ore prima, per bere o per la compagnia, non gli piacevano posti così. E ora scappava.

   I fumi dei narghilè svaporati dalle bocche larghe e piene di risate vuote delle ragazze sui cuscini dei cafè gli annebbiarono i pensieri mentre si incuneava tra le frotte di giovani, scontrandosi con rossetti accesi, orecchini sfavillanti, petti abbronzati e bioscolpiti esplosi da camicie firmate. Ogni volta che si voltava, quell’uomo era sempre dietro.

   Aveva spalle larghe infagottate in un giubbotto beige anonimo, pantaloni neri, anonimi, era anonimo, di quelli che potresti fissare per ore e poi non saperli descrivere a nessuno. Quell’uomo voleva lui.

   Max scese giù nella baia, la spiaggia era una lingua grigia lambita dal mare nero, la notte lì era più scura. Qualche ragazzo pomiciava con partner occasionali, qualcuno andava oltre. Poco più in là una ragazza piangeva accucciata sui tacchi vertiginosi, consolata da un’amica, un’altra in mini di paillette vomitava. Max Fuller arrancò sulla spiaggia, poi salì sugli scogli. A Malta gli scogli sono levigati e farinosi, come terra pressata in un cantiere edile. Si fermò guardandosi indietro, oltre la lingua di sabbia, nelle orecchie aveva solo la risacca del mare. La risacca del mare e il cuore che batteva all’impazzata. Nelle strade che salivano piene di luci verso il quartiere dei divertimenti non vedeva nessuno che avesse un giubbotto beige e i pantaloni neri. Quell’uomo anonimo non c’era più, non c’era più il mastino che lo braccava. In quel momento qualcuno sbucò dal buio come un treno e lo afferrò per il collo, poi lo tirò su come si fa con un tonno preso all’arpione.

   L’uomo aveva braccia spropositate, troppo larghe per essere vere, e infatti vere non erano. La sintepelle delle mani era scadente, poteva ingannare a una prima occhiata, ma al tatto faceva impressione. Fu quella calda e appiccicosa sensazione di lattice riscaldato dal calore dell’estate che Max Fuller percepì sulle dita mentre cercava di infilarle tra le mani dell’uomo e la sua gola. Non ci riusciva, non riusciva neanche a gridare, in compenso tremava e scalciava. Sentiva freddo, sentiva l’alito di cipolla di quell’uomo che ringhiava, sentiva paura, l’ultima cosa che sentì fu un crack. Era il suo collo che si spezzava.

 

   Max Fuller pesava almeno settanta chili, ma all’uomo col giubbotto beige bastò un braccio per tenerlo sollevato a un palmo da terra, con l’altra mano lo frugava. Nelle tasche dei jeans trovò due cellulari, uno era attivo, l’altro non era collegato alla rete. Controllò col pollice sul touchscreen del secondo, trovò solo una registrazione audio. L’attivò.

   “Ciao Maximilian. Non mi conosci, ma io conosco te…” Scivolò col pollice sulla barra spostandola poco più avanti, il messaggio continuava. “…Troverai un file su questo cellulare che dovrai aggiungere agli altri dati sul tuo Identity Badge. Troverai anche il modo come farlo…” A quel punto l’uomo col giubbotto beige stoppò e infilò il cellulare in tasca, poi rigirò Max tra le mani come fosse uno straccio bagnato. Trovò la tessera magnetica dell’Identity Badge nella tasca posteriore, controllò che fosse di Max, poi ridacchiò metallico. Gli occhi vitrei di Max Fuller parevano fissare la sua bocca che sapeva di senape e cipolla e i suoi denti finti e allineati mentre rideva. Poi non parvero fissare più niente quando l’uomo col giubbotto beige si liberò di Max gettandolo tra gli scogli.

   “Ehi, quello ha buttato qualcuno in acqua!” si sentì dalla spiaggia, dietro di lui. Un attimo dopo l’uomo in beige era sparito nella notte. L’ultima cosa che aveva scintillato nel buio era stato il suo sorriso. Finto e allineato. Nell’aria era rimasto odore di cipolla.

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Michele Quirici (scrittore)
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