Come un film
- Simone Giusti
- 1 set 2016
- Tempo di lettura: 3 min

“Portland”, il libro che è come un film.
Come un film perché già fin da quando partì il progetto di questo romanzo c’era in programma una colonna sonora originale fatta dai fantastici Rainbowarriors, cosa che lo trasformava in un film. Ma Come un film soprattutto per come sono andate le cose.
Come un film, questa campagna raccontava la storia di uno scrittore e di un suo romanzo che aveva il grandissimo difetto di essere western. Sì, va bene, lo so che la storia è d’azione, che le tinte sono noir, che patapim e patapam, ma sul mercato editoriale si trattava sempre di un romanzo western e dunque difficile da piazzare (questa è la teoria attuale, magari tra un anno il western sarà richiesto, però oggi per un autore italiano e sconosciuto – cioè che non ha mai venduto più di diecimila copie di un suo libro – scrivere western è un po’ come voler vendere pantaloni a vita bassa nell’Ottantacinque o imbottiture per le spalle oggi, è uno scrittore fuorimoda). Ma si stava parlando del film. Ebbene, dicevo Come un film perché la campagna ha ricalcato pari pari quella che dovrebbe essere la trama di un lungometraggio.
Partenza d’entusiasmo. E va bene. Poi un secondo atto pieno di ostacoli e di imprese, presentazioni, l’entrata nel gruppo di Camilla per la gestione della comunicazione, i magnifici attori e lettori che mi hanno supportato, Daniela, Alessandra, Simone, Orazio e Gianni, la colonna sonora che prendeva vita; tutta roba che sarebbe stata raccontata con qualche montaggio musicale, magari per riassumere le quindici presentazioni (e forse più) di “Portland” e del West in generale a spasso per la Toscana, e talvolta anche fuori. Ma soprattutto, Come un film perché è sul finale che la sceneggiatura (perché ormai è di sceneggiatura del reale che si sta parlando) è diventata una di quelle coi tempi, i colpi di scena e i ritmi giusti per la classica commedia americana.
Il secondo atto, come tutti i film che si rispettino, aveva portato a un capolinea insormontabile. Nonostante tutti gli sforzi del protagonista e degli altri eroi che tentavano in tutti i modi di aiutarlo, il lieto fine non arrivava; addirittura il giorno prima della chiusura sembrava che “Portland” fosse un fallimento (come nelle commedie rosa dove a quindici minuti dalla fine i due si lasciano e sembra che tutto sia andato a rotoli). Ed è stato lì, come nelle migliori sceneggiature, che c’è stata la riscossa finale. Ci sono state un sacco di persone che si sono strinte attorno al romanzo, è arrivato l’ordine di un’azienda che ha prenotato dieci copie, è arrivata la proposta di Bookabook di far valere doppie le ultime prenotazioni per arrivare al traguardo, sono arrivati oltre venti sostenitori, e senza neanche rendermene conto la campagna è andata in porto e ci sarebbe andata anche senza i raddoppiamenti, tante sono state le adesioni… lui e lei si sono riappacificati, magari in chiesa un attimo prima che lei sposasse l’altro che piaceva alla famiglia ma che lei proprio non amava, ed è finita con l’amica zitella della protagonista che trova l’amore col testimone imbranato, con il marito lasciato sull’altare che si conforta con la damigella un po’ vispa che per tutto il film ha fatto dei casini e tutto, come in un tetris perfetto, va a finire bene e lo spettatore (e in questo caso persino io che teoricamente ero il protagonista di questa storia) non si rende conto neanche di cosa diavolo sia successo, ma è successo è allora va bene.
Lui e lei vanno via con la macchia piena di barattoli legati al paraurti che fanno casino e la targa dove non c’è scritto “Just married” ma “Portland – La città dei dannati. Presto in libreria”.
Ora non mi resta che ringraziare tutti, ma proprio tutti, per il sostegno e per la tenacia, e darvi appuntamento a fine autunno quando il libro finalmente vi arriverà a casa e partirà per le librerie.
“Portland”, il libro che era nato come un film, e grazie a voi come un film è arrivato alla pubblicazione.
Fine.
Titoli di coda.
Buio...
Ci vediamo a dicembre in libreria.
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