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Jimmie

  • Immagine del redattore: Simone Giusti
    Simone Giusti
  • 28 lug 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Mi chiamo Jimmie e nel West quelli come me li chiamano gambler o giocatori d’azzardo. Giriamo per le città per spennare i coglioni che pensano di saperci fare. Ce ne sono tanti come me, la maggior parte dei pistoleri lo è, intendo giocatori. Il problema è che con la pistola non sono un granché, per questo non baro, non lo faccio mai, ma vaglielo a spiegare a quei tizi dell’Alamo Saloon a San Francisco, vaglielo a spiegare che è solo un gioco di abilità, abilità e attesa, di bluff, sì, ma mai giochetti per ingannare. Alla gente come quella lì non si può spiegare un bel niente, soprattutto quando hanno lo stomaco pieno di whisky e l’alcol nel cervello. Mi presero in tre, mi obbligarono a tenere la mano destra sul tavolo e poi il capo mi portò via tre dita con un colpo di tomahawk (ed è orribile vedere le tue dita che saltano via e il sangue che sgorga fuori. Il dolore lo senti prima del colpo, dopo è come quando ti danno un pugno in faccia e la guancia non la senti più). Il tizio mi disse che mi lasciava due dita, il primo per ricordarmi chi me lo aveva fatto, il secondo perché.


Mi chiamo Jimmie, ma tutti mi chiamano Due-dita. Non sono più un gambler, ora faccio il praticone. Lavoro per un certo Dooley, è uno che ha un saloon su a Portland. È un bastardo vigliacco stempiato, con le basette folte e occhi neri che sanno di cattivo. Ma tutto il mondo è così e in fondo mi tratta bene. Solo che… solo che non sopporto quando esce dal suo ufficio e prende a discutere con July, non sopporto che la faccia vivere con quella catena alle caviglie, non sopporto quando la costringe ad accettare tutti i clienti, anche quei bovari grassi e sudati che arrivano in estate e vogliono fottere (ma per loro ci sono le altre, perché proprio con July? Perché?). E poi non sopporto quando viene a fine serata, si appoggia al bancone, beve la birra e la osserva con quegli occhietti lì, capocchie di spillo fondi come pozzi di bitume. E poi non sopporto quando la prende per il polso, la strattona (e lei dice di no) e lui la prende a schiaffi e la trascina su in camera sua. Non sopporto sentire il letto che sbatte contro la parete, le molle che cigolano, e poi lui che se ne viene giù e si rinchiude nel suo ufficio a fumare il sigaro e a bere. Non sopporto sentire lei che piange. Mi tappo le orecchie, continuo a contare i soldi di Dooley ma non riesco a tenere il conto e quando arrivo alla fine devo ricominciare. Non sopporto quando July esce fuori, scende di corsa le scale inciampando nella catena e corre nella stanza sul retro, quella per le puttane, e anche se tiene il capo chino lo vedo che ha il trucco tutto sbafato e le guance che prendono fuoco.

Vorrei uccidere Dooley, lo vorrei proprio fare. Ma prima devo trovare il coraggio d'andare da July e dirle la verità, prima devo smettere di pagarla per starci insieme.

July è la mia donna di cuori, ma io sono un gambler che ha solo due dita e non ha le palle per dirle ti amo.



(Jimmie e July sono due personaggi di Portland – La città dei dannati)




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