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Shanghai Tunnel (accesso all'incubo)

  • Immagine del redattore: Simone Giusti
    Simone Giusti
  • 19 mag 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Se tu potessi viaggiare nel tempo e visitare Portland, Oregon, nel 1882, ti troveresti in una grande città (grande per gli standard dell’epoca, e soprattutto del West, ovviamente). Di giorno vedresti palazzi e hotel con grandi cornicioni, strade dritte, lampioni a gas, e giù al porto una foresta di alberi di navi. La notte si accenderebbe la festa. Strade rischiarate dalla luce calda dei lampioni e decine e decine di saloon aperti sulla via principale, uno accanto all’altro. E in strada sentiresti la musica dei pianoforti picchiati duro, le risate, e poi vedresti bovari, mercanti e viaggiatori coi cappelli in testa spostarsi da un saloon all’altro, qualcuno ciondolando già ubriaco, qualcun altro a braccetto con una donna di facili costumi. Ma avresti visto solo una parte della città; ti mancherebbe il sottosuolo.



Nel 1882 il sottosuolo di Portland era già un labirinto vasto quanto tutta la città. In alcuni punti i livelli erano tre. Cunicoli, corridoi, stanze segrete, prigioni. Già, perché anche se quelli si chiamavano da almeno una decina d’anni Shanghai Tunnel (visto che venivano usati per il contrabbando dell’oppio, visto che c’erano vaste fumerie dove i bovari si stordivano fumando sui tavolati, visto che c’erano bordelli cinesi), in realtà l’uso più fruttuoso di quei cunicoli era per farne delle stanze di costrizione. E non sto parlando di prigioni legali, sto parlando di bande di manigoldi che catturavano persone (uomini, donne, bianchi, neri, non faceva differenza) per trasformarli in schiavi. In superficie Portland era una sfilata di saloon, una sfilata di hotel, e chi li gestiva spesso erano persone facili ai loschi affari. Erano loro che prendevano denaro (e talvolta controllavano persino le bande di rapitori dei tunnel) per ogni persona rapita che Portland inghiottiva nel sottosuolo. In ogni saloon, in ogni hotel, spesso anche nei vicoli ciechi, si aprivano botole a scatto da cui si facevano sparire le persone. Bovari che si ubriacavano e che senza dare nell’occhio venivano trascinati giù, stranieri che si ribellavano e venivano convinti con una randellata. Sotto le botole c’erano vecchie reti vittoriane e materassi dismessi dai bordelli che servivano per attutire la caduta dei rapiti, perché un uomo ferito non valeva più. Le celle erano sgabuzzini bui in cui gli uomini venivano ammassati come sardine. Se c’erano finestre che davano nei tunnel, avevano strette inferriate con sbarre quadrate dai bordi taglienti, cosicché nessuno avrebbe avuto la voglia di dilaniarsi un braccio cercando di afferrare per il bavero i suoi rapitori che controllavano da fuori. Se capitavi là sotto, la prima cosa che ti avrebbero fatto sarebbe stata toglierti le scarpe, perché i cunicoli attorno erano tappezzati di vetri e se trovavi il modo di scappare, e avevi il fegato di correre sui pezzi di vetro e tagliarti i piedi, poi sarebbe stato facile per loro seguire le tracce di sangue e venirti a cercare. E se la botta in testa fosse stata un po’ più forte, be’, ti saresti svegliato direttamente a bordo delle navi. Avevi due scelte, allora: lavorare o finire in mare. Il tuo futuro era quello di fare la spola tra Portland e Shanghai, fino alla fine. Portland era il crocevia del mondo occidentale per il commercio della droga.


Ma ti poteva andare anche peggio. Perché se eri un donna e ti capitava di entrare in un hotel, o magari di finire in un vicolo e chi era con te veniva aggredito a bastonate (oppure intascava i soldi per averti condotto laggiù), se eri una donna allora finivi a catena nei bordelli sotterranei dove ti insegnavano tutto su come far divertire i maschi affamati. Poi venivi venduta ai bordelli di chissà dove, California, o magari della costa orientale, e sparivi dalla società come una nuvola di fumo.

In America si era combattuta una guerra vent’anni prima. Nord contro Sud. La scusa degli Yankee era stata quella di voler liberare dall’oppressione i neri. Ma la storia racconta una verità diversa. In realtà la scusa della liberazione dei neri era venuta fuori solo dopo più di un anno di guerra, quando i Sudisti stavano massacrando sui campi di battagli gli inesperti eserciti del Nord. La liberazione degli schiavi era stato un piano strategico ben congeniato nel gabinetto del potere Nordista, avrebbe causato rivolte nei campi del Sud, avrebbe causato il crollo di un’economia, avrebbe sconfitto dall’interno un’armata che sul campo gli Yankee non riuscivano a piegare. Gli Americani avevano imparato (allora come oggi) che le guerre si vincono sulla falsità.

A distanza di vent’anni, Portland, nel nord, era la dimostrazione che lo spirito schiavista non era stato seppellito con la Guerra di Secessione.



Se vuoi approfondire:

Le Città Segrete. Portland, Oregon. (Andato in onda su Focus)




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